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Associazione Forense Nazionale Italiana

Avv. Antonino Ciavola * – Presidente Comitato Scientifico dell’A.F.N.I. – I compiti del COA

I compiti del Consiglio dell’Ordine dopo la legge n° 247/2012

 

Avv. Antonino Ciavola

 

  • 1. Introduzione

La legge 31 dicembre 2012 n° 247 ha riscritto l’ordinamento professionale forense, pur mantenendo alcuni rinvii alle norme previgenti, risalenti a ottanta anni prima, e pur presentando numerosi difetti di impostazione che hanno provocato successive modifiche.

La novità probabilmente più rilevante del riformato ordinamento forense è la sottrazione ai Consigli dell’Ordine dell’azione disciplinare, adesso riservata a un organo nuovo nella sua costituzione, ma antico nella storia: il Consiglio Distrettuale di Disciplina.

Non è una novità assoluta poiché nella legislazione previgente, risalente all’Ottocento, già vi erano questi Consigli di Disciplina, organi separati rispetto al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati e al Consiglio dell’Ordine dei Procuratori (organi, a loro volta, distinti).

La legge 247 ha contestualmente modificato il numero dei componenti del Consiglio dell’Ordine, aumentandolo per i fori più numerosi.

Se in precedenza, infatti, il numero massimo di componenti era 15, adesso i fori con iscritti da 2001 a 5000 hanno un consiglio di 21 membri e quelli ancora più grandi, oltre 5000, hanno un Consiglio composto da 25 membri.

Da più parti è stato osservato che si tratterebbe di una incongruenza poiché, a fronte di un Consiglio privato del suo potere più rilevante, quello disciplinare, se ne aumentano i componenti.

Questo breve studio tende a contestare questa tesi, evidenziando che i nuovi Consigli dell’Ordine hanno invece numerosi compiti, prima previsti solo implicitamente ed oggi codificati con chiarezza.

 

  • 2. L’articolo 29 della legge 247/2012

Secondo una tesi tanto diffusa quanto infondata, prima della riforma i compiti del Consiglio dell’Ordine erano tre: gestione della disciplina, tenuta degli albi e congruità delle parcelle.

Come dicevamo, taluni sostengono che l’eliminazione del primo compito abbia sostanzialmente svuotato di contenuto l’azione dei Consigli dell’Ordine.

L’articolo 29 della legge 247/2012 elenca minuziosamente i compiti del Consiglio; conferma alla lettera a) la tenuta degli albi e alla lettera l) la liquidazione dei compensi.

La lettera c) prevede, oltre al controllo sulla pratica forense, anche l’istituzione di scuole forensi nonché la promozione di iniziative atte a rendere proficuo il tirocinio.

Quest’ultimo inciso merita approfondimento poiché potrebbe tradursi in incentivi finalizzati a migliorare la pratica forense, mediante interscambi tra studi legali che si occupano di materie diverse, evitando che la pratica forense rimanga nel microcosmo di uno studio legale che, magari, si occupa soltanto di uno specifico settore e non è quindi in grado di fornire quella formazione ampia e interdisciplinare che è poi pretesa per il superamento per l’esame di avvocato.

Considerando l’elevatissimo numero di praticanti presenti in ogni foro, queste iniziative di coordinamento e scambio di esperienze e di informazioni, che sono cosa diversa rispetto alle scuole forensi, potrebbero occupare un ristretto numero di consiglieri rendendo un servizio che, sul territorio nazionale, raramente è stato fornito. Come effetto derivato non può sfuggire che vi sarebbe anche un ulteriore controllo – seppur indiretto – del Consiglio dell’Ordine sull’effettività del tirocinio e sulla sua proficuità.

La lettera d) prevede l’organizzazione e promozione di eventi formativi ai fini dell’adempimento dell’obbligo di formazione continua.

Anche questo aspetto richiede un coordinamento e infatti in passato alcuni consigli redigevano, dopo aver sentito le associazioni presenti sul territorio, un piano complessivo relativo all’offerta formativa al fine di coprire tutti i settori dell’ordinamento e distinguere adeguatamente gli eventi tra quelli di formazione e quelli di aggiornamento.

Questo aspetto, pertanto, potrebbe proficuamente occupare alcuni consiglieri.

La lettera f) ci dimostra quanto sia errata la diffusa affermazione in base alla quale la deontologia sarebbe stata sottratta ai Consigli dell’Ordine, e va letta unitamente alla lettera h).

Secondo queste norme tra loro coordinate il Consiglio vigila sulla condotta degli iscritti e deve trasmettere al Consiglio Distrettuale di Disciplina gli atti relativi ad ogni violazione di norme deontologiche di cui sia venuto a conoscenza […] tutela l’indipendenza e il decoro professionale e promuove iniziative atte ad elevare la cultura e la professionalità degli iscritti e a renderli più consapevoli dei loro doveri.

L’esame di queste norme ci dimostra che in capo al Consiglio dell’Ordine resta un costante dovere di vigilanza, e che la violazione delle norme deontologiche non deve essere perseguita soltanto a seguito di esposti, poiché il Consiglio deve essere parte attiva nel segnalare al C.D.D. ogni violazione, potendo quindi verificare se vi siano siti internet che usano metodi non consentiti di accaparramento di clientela, o se vi siano comportamenti scorretti nelle quotidiane udienze che si celebrano, magari non perseguiti e non segnalati semplicemente per distrazione o quieto vivere.

Inoltre, le iniziative atte ad elevare la cultura degli iscritti non coincidono con gli eventi formativi, dai quali sono infatti nettamente separate nell’elencazione dell’articolo 29.

Si tratta di una attività più generale che verifichi i singoli comportamenti, le cadute di decoro, i limiti posti all’indipendenza dell’avvocato, e che migliori la qualità professionale degli iscritti.

La norma indicata nella lettera h) è davvero cristallina e merita un approfondimento che, ancora una volta, potrebbe impegnare alcuni consiglieri.

La lettera g) prevede il controllo della continuità, effettività, abitualità e prevalenza dell’esercizio professionale; anche se un successivo regolamento ministeriale ha previsto che detti controlli avvengano ogni tre anni e soltanto a campione, la norma primaria (ovviamente di rango superiore rispetto a quella regolamentare) dà al Consiglio un compito preciso e costante, decisamente oneroso nei fori più grandi.

Le lettere successive indicano compiti già previsti dalle norme precedenti, e in particolare va evidenziata la lettera n) sulla costituzione di camere arbitrali, di conciliazione e di A.D.R., già presenti in quasi tutti i fori, con ulteriori impegni a carico di alcuni consiglieri.

Infine, la lettera t) prevede che il Consiglio vigili sulla corretta applicazione, nel circondario, delle norme dell’ordinamento giudiziario, segnalando violazioni ed incompatibilità agli organi competenti.

Questa norma segna uno spartiacque con il passato poiché adesso è la legge a fissare l’obbligo in capo al Consiglio dell’Ordine mentre in precedenza si discuteva se la segnalazione delle incompatibilità fosse una questione interna alla magistratura, nella quale gli avvocati non potevano ingerirsi, o al massimo potevano segnalare la questione al Consiglio Giudiziario.

La lettera t) evidenzia invece un dato che già in passato era evidente a qualunque osservatore attento: le incompatibilità dei magistrati, derivanti da rapporti di parentela o affinità con avvocati esercenti nello stesso circondario, non riguardano soltanto i magistrati stessi bensì l’intera categoria forense e la leale concorrenza al suo interno, e meritano una particolare attenzione e vigilanza.

 

  • 3. Lo sportello per il cittadino

L’articolo 30 della nuova legge professionale prevede l’istituzione di questo sportello, che non coincide con l’ufficio per il patrocinio a spese dello Stato, che pure ha una funzione di orientamento ai cittadini.

In ossequio al dato normativo, quasi tutti i Consigli dell’Ordine hanno istituito lo sportello, che però è poco conosciuto ed ancor meno fruito.

L’informativa da rendere ai cittadini dovrebbe riguardare non un parere sulle controversie in corso, traducendosi in una sorta di centro gratuito di assistenza, bensì – secondo il dato testuale – informazioni per fruire delle prestazioni professionali degli avvocati, in termini di preventivo, di contratto con il cliente, ed infine anche di patrocinio a spese dello Stato.

L’attività potrebbe essere costante e meritoria e, se adeguatamente pubblicizzata e concretamente utilizzata dai cittadini, porrebbe il Consiglio dell’Ordine al centro della comunità locale come indispensabile punto di riferimento.

Anche questa attività potrebbe impegnare alcuni consiglieri.

 

  • 4. Il funzionamento per commissioni

Più volte, nel corso di questo articolo, ho scritto che le varie attività potrebbero impegnare “alcuni” consiglieri.

La ragione di questa reiterata precisazione deriva dall’articolo 32 della legge 247, in base al quale i Consigli dell’Ordine più grandi possono svolgere la propria attività mediante commissioni di lavoro composte da almeno tre membri, che devono essere tutti presenti ad ogni riunione per la validità delle deliberazioni.

La norma, nel suo chiarissimo tenore letterale, è poco applicata su tutto il territorio nazionale.

Il testo è palese nel descrivere una commissione con attività deliberante, che cioè compia atti riservati al Consiglio dell’Ordine deliberando in numero ristretto, senza necessità di una successiva approvazione del plenum.

Questo tipo di attività per commissioni deliberanti incontra l’ostracismo di molti Consigli dell’Ordine, abituati a deliberazioni collegiali di tutto il Consiglio, e che non gradiscono che una parte delle decisioni possa essere riservata soltanto ad alcuni dei consiglieri o addirittura a membri non consiglieri.

Tra le attività che potrebbero svolgersi più proficuamente per commissioni, in numero ristretto, creando specifiche specializzazioni interne tra i consiglieri, vi sono tutte quelle che abbiamo indicato nei precedenti paragrafi, ed inoltre l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, troppo spesso fatta in modo apparentemente collegiale ma in realtà senza una effettiva attenzione al tipo di domanda proposta e alla sua eventuale manifesta infondatezza.

Persino il controllo deontologico sul comportamento degli iscritti potrebbe avvenire per commissioni, come prevede espressamente il comma 2 dell’articolo 32 precisando che in questo caso – e solo in questo caso – i componenti delle commissioni debbano essere tutti consiglieri.

 

  • 5. Conclusioni

Ritengo di aver dimostrato, con questo succinto scritto, l’erroneità della tesi che sostiene la riduzione di compiti residuati ai Consigli dell’Ordine.

Anche senza l’azione disciplinare, devoluta ai C.D.D., i Consigli territoriali mantengono tutti gli altri compiti storicamente loro assegnati e ne acquisiscono tanti altri, ai quali magari non pongono la dovuta attenzione.

La realizzazione, anche per commissioni, di tutti i compiti minuziosamente indicati dalla legge professionale, garantirebbe un ruolo da protagonista al Consiglio dell’Ordine e, forse, potrebbe contribuire ad avvicinare la classe forense ai cittadini che, come è noto, al momento non ripongono la dovuta fiducia nei confronti di chi dedica la propria vita a tutelare i loro diritti.

Avv. Antonino Ciavola – Foro di catania