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Cass. civ. Sez. III, Ord., 19-07-2019, n. 19520. Pres. AMENDOLA. Rel. VALLE. L’adempimento dell’incarico professionale impone all’avvocato di assolvere, sia all’atto del conferimento del mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto, (anche) ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente.

Svolgimento del processo
A.B. agì in giudizio dinanzi al Tribunale di Padova al fine di ottenere la condanna degli avvocati Sa.Gi. e R.L. per non avergli consigliato di agire in sede civile per ottenere la cancellazione dal bollettino protesti in relazione alla iscrizione per tre cambiali a sua firma, protestate, affermando che l’avvocato Sa. gli aveva detto che prima della definizione del processo penale di falso nulla poteva farsi e l’avvocato R. si era limitata ad assisterle nella materia penale. Il A. proponeva, altresì, opposizione ai decreti monitori per prestazioni professionali ottenuti dall’avvocato Sa. nei suoi confronti.
A seguito della costituzione in giudizio nelle cause di responsabilità professionali dei due legali avvocati Sa. e R. venne chiamata in manleva la Assicuratrice Milanese S.p.a., che eccepiva la prescrizione del diritto all’indennizzo per l’avvocato Sa. e precisava che la copertura era limitata alla sola responsabilità diretta degli assicurati, nell’ambito della polizza assicurativa.


Il Tribunale di Padova, riunite le cause, rigettò sia la domanda di accertamento e condanna per responsabilità professionale degli avvocati Sa. e R. sia le opposizioni ai decreti ingiuntivi.
La Corte di Appello di Venezia, adita dal A., confermò la decisione del Tribunale.
Avverso la sentenza di appello ricorre A. con quattro motivi di ricorso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, in relazione all’art. 116 c.p.c., artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., art. 184 bis c.p.c. e R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 91, art. 1176 c.c., comma 2 e art. 2236 c.c..
Resistono con separati controricorsi Sa.Gi., R.L. e l’Assicuratrice Milanese S.p.a..
Nel proprio controricorso R.L. eccepisce l’improcedibilità del ricorso in quanto l’attestazione di conformità sarebbe stata apposta direttamente sulla copia del provvedimento notificato con modalità telematiche.


Il ricorrente A. ed i controricorrenti Sa. e R. hanno depositato memorie per l’adunanza camerale.

Motivi della decisione
Il primo motivo di ricorso deduce ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, violazione del principio di vicinanza della prova nonchè del principio generale di cui all’art. 116 c.p.c. e dall’art. 2697 c.c., in applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c..
Il secondo mezzo assume violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., artt. 2727 e 2729 c.c. e vizio di motivazione.
Il terzo motivo denuncia violazione o falsa applicazione del previgente art. 184 bis c.p.c. e vizio di motivazione.


Infine il quarto mezzo deduce violazione e falsa applicazione del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 91, art. 1176 c.c., comma 2 e art. 2236 c.c..
L’eccezione di improcedibilità del ricorso è infondata, risultando depositata dal ricorrente A., come risulta dagli atti del fascicolo di parte, compulsabili ai sensi dell’art. 372 c.p.c., l’attestazione di conformità dei documenti informatici comprovanti la notifica a mezzo PEC della sentenza impugnata.
Ragioni di economia processuale inducono la Corte ad esaminare congiuntamente il terzo motivo ed il quarto motivo di ricorso.
In particolare il terzo mezzo assume violazione della disciplina processuale in tema di rimessione in termini.
Il Tribunale di Padova prima e la Corte di Appello di Venezia poi non avrebbero fatto buon governo dell’istituto della rimessione in termini, con riferimento una lettera che era stata inviata al A. dalla Banca Antonveneta solo il 20 maggio 2010, in data successiva allo spirare dei termini perentori per la produzione documentale in primo grado.
La Corte di Appello di Venezia ha affermato sul punto che al fine di poter chiedere di produrre documenti oltre i termini di cui all’art. 183 c.p.c., comma 4, il A. avrebbe dovuto documentare o offrire di dimostrare che aveva già chiesto alla banca tutta la documentazione inerente i rapporti dopo i protesti, e tanto non era stato fatto.
La motivazione della Corte territoriale è, sul punto, viziata in quanto pone a capo del A. un onere probatorio non adeguatamente calibrato, espandendo in modo illogico ed esorbitante il principio di eventualità.


E’, infatti, circostanza pacifica che al A. il documento – ossia la lettera alla Banca Antonveneta dello studio dell’avvocato Bergamo, esercente nell’ambito dello studio dell’avvocato Sa.Gi., se non altro quale libero professionista – risalente al luglio 2002 era stato comunicato solo con missiva della stessa banca al A. del maggio 2010. Peraltro nel motivo di impugnazione in appello risultava spiegata la ragione del tardivo ritrovamento della detta lettera del luglio 2002, rimessa alla Banca dallo studio dell’avvocato Sa.: l’effettuazione di ulteriori ricerche, da parte dell’istituto di credito, nei propri archivi, a seguito della citazione quale testimoni di alcuni ex dipendenti della stessa banca.
Il terzo motivo di ricorso è, pertanto, fondato.
Il quarto mezzo assume violazione o falsa applicazione della disciplina sull’esercizio della professione forense (R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 91), che recita: “Alle professioni di avvocato e di procuratore non si applicano le norme che disciplinano la qualifica di specialista nei vari rami di esercizio professionale”) e dell’art. 1176 c.c., comma 2 e art. 2236 c.c..
La Corte territoriale ha affermato che essendo l’avvocato R.L. esercente la professione forense in ambito penale e non avendo rapporti professionali con il coniuge avvocato Sa., doveva ritenersi che ella era stata incaricata di seguire la sola questione penale e non le si poteva, quindi, imputare alcunchè per non avere consigliato al A. di attivarsi al fine di ottenere la cancellazione dei protesti. Sul punto la motivazione della sentenza in scrutinio non è coerente: da un lato essa afferma che all’avvocato R. era stata affidata la sola difesa in ambito penale, dall’altro riconosce che vi era stato un mandato professionale pieno.


La materia della cancellazione dal registro dei protesti è, tuttavia, ambito professionale nel quale l’esercizio della professione non può essere parametrato alla stregua di una diligenza particolare, ossia degli appartenenti ad un ambito specialistico, e, anche qualora questo fosse ritenuto esistente, con riferimento al caso di specie, deve ribadirsi che (Cass. n. 14597 del 30/07/2004 e 24544 del 20/11/2009): “Nell’adempimento dell’incarico professionale conferitogli, l’obbligo di diligenza da osservare ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 1176 c.c., comma 2 e art. 2236 c.c., impone all’avvocato di assolvere, sia all’atto del conferimento del mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto, (anche) ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, essendo tenuto a rappresentare a quest’ultimo tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi; di richiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso; a sconsigliarlo dall’intraprendere o proseguire un giudizio dall’esito probabilmente sfavorevole”. L’ambito della responsabilità dell’avvocato si estende, peraltro, in caso di incertezza (Cass. n. 03765 del 14/02/2017) giurisprudenziale (con riferimento a fattispecie relativa all’individuazione del termine esatto di prescrizione applicabile, imponendosi all’avvocato di compiere comunque atti interruttivi, anche nell’ambito di termine più breve di quello poi in concreto ritenuto operante).
E’ quantomeno singolare, ed una plausibile spiegazione alternativa non è stata offerta dalla Corte territoriale, che l’avvocato R., incaricata di seguire i profili penalistici della vicenda del protesto per tre cambiali del A., non l’abbia consigliato sulla (o quantomeno non gli abbia segnalato la) necessità di richiederne la cancellazione sulla base del disposto della L. n. 77 del 1955 e, comunque, non l’abbia opportunamente informato sull’opportunità, se non necessità, di intraprendere iniziative in ambito civile e in ogni caso, di rivolgersi ad un avvocato civilista, ove ella si reputasse inidonea e comunque non professionalmente capace.
Il quarto motivo di ricorso è, pertanto, fondato.
Il terzo ed il quarto motivo di ricorso sono accolti.
L’accoglimento del terzo e del quarto motivo di ricorso assorbe i restanti primi due mezzi.
La sentenza impugnata è cassata in relazione ai motivi accolti.
La causa è, pertanto, rinviata alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, per nuove esame sulla base di quanto statuito in questa sede.
La regolazione delle spese di questo giudizio di cassazione è rimessa al giudice di rinvio.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo per contributo unificato, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
                                                                  P.Q.M.
Accoglie il terzo ed il quarto motivo di ricorso, assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa per nuovo esame alla Corte di Appello di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese di questo giudizio.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile, il 29 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2019.