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Associazione Forense Nazionale Italiana

Apertura e conclusioni del Convegno del 18  novembre 2019, a Catania,  Palazzo di Giustizia, su “Etica e Trasparenza nelle Istituzioni Forensi”

Benvenuti a tutti a nome dell‘Associazione Forense Nazionale Italiana  che oggi, a Catania, discute di cose di Avvocati fra Avvocati; e ne discute nella loro casa che è il Palazzo di Giustizia. Abbiamo voluto rendere visibile il principio che oggi noi Avvocati siamo qui a casa nostra a discutere di problematiche che ci riguardano e non ospiti.

Oggi come Associazione ci troviamo a lottare per il rispetto della legalità, per la riaffermazione del prestigio e dell’orgoglio di essere Avvocati, nel pretendere di ripristinare prassi che inducano al rispetto della funzione dell’Avvocato e dell’Avvocato stesso, chè il rispetto non si chiede ma si ottiene. Le Associazioni vengono guardate spesso con sospetto oppure con sufficienza o con rassegnata supponenza da parte di chi ama lagnarsi senza però impegnarsi. Epperò oggi siamo qui a discutere proprio grazie all’A.F.N.I. e discutiamo di etica, di comportamenti, di dignità che non sono mere enunciazioni di stile ma che si ripercuotono concretamente sul nostro lavoro, sulla nostra quotidianità, confutando il concetto che la politica forense non risolve i problemi concreti dell’Avvocatura, come se la politica forense fosse un vezzo riservato a pochi eletti per filosofeggiare sul nulla. E’ vero esattamente il contrario.

Le associazioni forensi non nascono, quantomeno non dovrebbero nascere, per contrapporsi pregiudizialmente alle istituzioni ma ne dovrebbero essere un valido ausilio e, nel contempo, però un attento vigile pronto ad intervenire – senza timori di sorta – per evitare comportamenti non corretti e distorsioni in danno della propria categoria ma anche dei singoli associati a cui deve fornire supporto

Al di là del fatto che una buona idea rimane sempre una buona idea, a prescindere da chi provenga, il concetto di voce “unica” non sempre ha un valore positivo così come, specularmente, il “frazionamento” o le “mille anime” dell’avvocatura non necessariamente hanno un contenuto negativo.

L’esistenza di una pluralità di formazioni, a cui corrisponda una pluralità di idee e proposte, è sempre un arricchimento per l’interlocutore che dovrà operare la sintesi e che quindi avrà davanti a sé un quadro complessivo quanto più esaustivo delle varie problematiche che lo indurranno ad operare una scelta piuttosto che un’altra.

Ecco che questa considerazione ci ha indotto a costituire, insieme ad altre nove associazioni presenti, come noi, su tutto il territorio Nazionale, il Coordinamento Nazionale  delle Associazioni Forensi, dove riusciamo a trovare la sintesi ed il reciproco appoggio per sostenere le tante battaglie  che ci vedono impegnati in prima linea e molto spesso, forse troppo spesso, inspiegabilmente da soli.

Il quadro cambia totalmente ove alla pluralità di formazioni non corrisponda una pluralità di idee e proposte ma invece vi siano delle formazioni portatrici non di idee ma di interessi particolari o di piccini personalismi o di soggetti vogliosi di protagonismo: questo è il vero vulnus che oggi rende poco credibile il variegato mondo dell’associazionismo forense.

Qualcuno riterrebbe di voler utilizzare strumentalmente l’associazionismo come corsia preferenziale per entrare nelle istituzioni: per questo nel nostro Statuto abbiamo prescritto l’incompatibilità (art. 30) delle cariche apicali dell’Associazione con l’elezione, perfino con la candidatura, nei vari organismi istituzionali di categoria.

 L’associazionismo è cosa diversa e speculare all’istituzione.

Non vi può essere coincidenza neanche nelle aspirazioni.

La mistificazione del concetto che l’unica via in concreto possibile per “incidere” bisogna essere all’interno delle Istituzioni non è condivisibile.

Le associazioni libere, l’azione politica libera, possono incidere (anzi è proprio nel loro DNA) con la qualità e credibilità della loro attività.

Un’associazione che non funziona è un “guasto” che deve preoccupare tutti, anche i non aderenti, poiché essa propala argomentazioni in nome di indeterminati soggetti ma facendosi portavoce della classe forense, minando le fondamenta stesse della credibilità del mondo associazionistico e della dignità dell’Avvocato e della sua funzione.

Non è più il tempo di trincerarsi nel proprio orticello pensando che tanto ciò basta: no ciò non basta. E non basta, non solo perché le decisioni prese dalla Istituzioni (Ministero della Giustizia, Cassa Forense, Ministero dello Sviluppo Economico, MEF, CNF, COA…) immediatamente si ripercuotono sull’ “orticello” di ciascuno di noi abbattendo, d’un colpo, la recinzione e travolgendo ciò che ci sta dentro, ma perché ciò rappresenta anche una possente interferenza nella scelta professionale e, prima ancora, di vita di ciascuno di noi.

Il colpevole disinteresse, il pensare che tanto ci pensano gli altri, il lasciare da soli i rappresentanti dell’associazione o dell’istituzione, il delegare – abdicare –  a qualcun’altro il nostro futuro astenendoci perfino dalla verifica, è una grave omissione poiché priva di dignità la vita stessa di ciascuno di noi, ed inficia il senso di una scelta spesso fatta ancor prima dell’Università, che è stata una scelta di vita prima ancora che professionale. Una scelta che non può essere adombrata facendoci diventare imprenditori: francamente non crediamo che l‘Avvocato sia un imprenditore, il fine dell’Avvocato non è realizzare un utile ma tutelare i diritti violati dell’Assistito; e non è neanche un mercante poiché non vende servizi e non è neanche un mercenario perché è la passione che lo anima non il danaro. Non credo che qualcuno di noi abbia scelto di fare l’Avvocato pensandosi imprenditore o venditore di servizi.

E’ del tutto ovvio che rimane integro il diritto alla giusta remunerazione della propria opera professionale. Ed a questo proposito ritorna ancora la vicenda dell’equo compenso e dei minimi tariffari. Finalmente oggi si prende atto del grave danno arrecato ad Avvocati e Cittadini dall’abrogazione dei minimi tariffari e del collegato tariffario che scandiva pedissequamente e senza vuoti l’attività possibile dell’Avvocato. Non vi era necessità di un evanescente e, necessariamente, impreciso preventivo perché tutte le attività venivano singolarmente scandite: era una garanzia per il Cittadino costretto a ricorre alla difesa tecnica; era una garanzia per l’Avvocato che sapeva quale era il suo giusto compenso per l’attività svolta; era, soprattutto, un elemento di sottrazione all’indecoroso mercato delle vacche a cui oggi sono sottoposti gli Avvocati che difronte ad una separazione, ad una successione o all’affidamento di un minore devono contestualmente quantificare quanto potrà valere la loro opera: è semplicemente indecente ed inaccettabile. 

È inutile continuare a girarci intorno: bisogna ripristinare i minimi e le tabelle, prestabiliti per legge, cosi come erano stati pensati da Umani intellettualmente e culturalmente superiori a Bersani & successori. Tutto ciò non tanto, non solo, per garantire dignità all’Avvocato ma per tutelare il Cittadino che in un momento di bisogno (quindi di debolezza) si rivolge al Professionista dandogli preventiva certezza di quanto pagherà non già in base ad un inevitabile fumoso preventivo, o per surreali “fasi” da quantificare, ma per il lavoro realmente prestato in suo favore e singolarmente individuato per come concretamente si realizzerà non su una astratta previsione che sa di pronostico da sfera magica. Con l’attuale sistema del “contratto” (che racchiude in sé un preventivo) non si può disconoscere il derivato incentivo alla disonestà: perché un Avvocato che vorrà elaborare una proiezione credibile del costo della causa terrà conto di tutte le variabili possibili (per esempio: chiamata di terzo, testimoni, ctu, ecc.), che magari poi non ci saranno, ma intanto il costo previsto sarà quello risultante da tale corretta prospettazione. Un avvocato diciamo più disinvolto, presenterà un preventivo apparentemente più realistico ma al contempo consapevolmente inverosimile, “tanto poi si vedrà” con la certezza che il cliente è ormai acquisito. Complimenti a chi ha avuto questa saggia idea trasformata in legge e a chi, sino ad oggi, ha taciuto su tutto ciò con colpevole connivenza.

E’ diciamolo una volta per tutte e senza giraci più intorno: vanno subito ripristinati i minimi e il tariffario; pare che abbiamo quasi timore di chiedere troppo ed allora ci affanniamo a cercare surrogati come per esempio l’equo compenso: fallito già sul nascere e di cui anche l’OCF ora si è reso conto.

Come vedete la politica forense, l’attività delle associazioni, come comunità-gruppo di Colleghi, è concreta, non è fumosa chiacchiera, si concretizza anche nell’intervento sulle difficoltà, sugli apparenti “piccoli impicci” con cui ci scontriamo quotidianamente.

Non dobbiamo assuefarci a ciò che svilisce la nostra Professione e a ciò che ci avvilisce nel corso delle nostre mattinate davanti ai Giudici di Pace, nei Tribunali o nelle Corti o davanti ai mediatori, nei rapporti con i Colleghi e con i Magistrati, con i funzionari delle cancellerie…dobbiamo opporre ogni resistenza perché il decadimento professionale in atto non è ineludibile ma è arginabile da ciascuno di noi come singolo e come associazione. 

Occorre una reazione comportamentale dei singoli che, nel loro complesso, diventa inevitabilmente di categoria; che ripristini il prestigio e la responsabilità della nostra attività rapportandoci con i nostri quotidiani interlocutori con la consapevolezza dell’alta funzione che stiamo svolgendo. Per questa ragione abbiamo ritenuto di coinvolgere ed accogliere nella nostra Associazione anche tutte quelle competenze e professionalità collaterali al mondo dell’Avvocatura ma interne al mondo della “giustizia” (cancellieri, funzionari ed operatori di cancelleria, CTU, commercialisti, consulenti del lavoro, notai ecc.) con i quali va sviluppato non solo un dialogo ma una vera e propria sinergica quotidiana collaborazione (art. 3, lett. “n” e art. 4 dello Statuto).

Va rivalutata ed esaltata  la capacità di intervento dell’associazione laddove si manifestano condizioni concrete di aggressione alla dignità della funzione, che  sono anche le, apparenti, piccole cose ma indicative di un retropensiero che va stigmatizzato ed estirpato:  il modo di svolgersi delle udienze, le stanze sovraffollate che non consentono un equilibrato dibattito fra avvocati e magistrato, le incongruenze del PCT, rinvii dai tempi inaccettabili, gli accessi negli uffici giudiziari e la carenza di personale, il trattamento riservato da taluni agli avvocati, talvolta trattati con sufficienza, se non con disprezzo.

Ma bisogna anche metter mano all’affollamento degli albi il cui incontrollato lievitare è parte del problema. Bisogna porre fine all’indiscriminato accesso alla professione forense quale rimedio residuale di altri fallimenti. Bisogna porre dei paletti all’Università fissando un triennio comune a giurisprudenza e poi diversificando il successivo biennio fra chi vuole intraprendere la professione notarile, chi la professione del magistrato, chi si vuole proporre alle dipendenze della p.a. e chi vuole essere un Avvocato. A quella età si è già in grado di fare una scelta consapevole e responsabile.

Ma ciò non toglie che bisogna pure metter mano alla situazione di circa 240.000 avvocati che oggi lamentano gravi problemi reddituali.

Bisogna metter mano a strumenti di supporto al reddito (magari con l’ausilio di Cassa Forense) e prendere atto dell’esistenza della figura dell’Avvocato dipendente che comunque va regolamentata, creando un albo ad hoc, parallelo a quello esistente, stabilendo modalità di svolgimento dell’attività dignitose, minimi stipendiali e ferma restando l’iscrizione a cassa forense.

Per fare questo è necessario divenire parte attiva e propositiva del sistema: gli ignavi con la loro assenza (e sono la maggioranza) hanno concorso nel determinare la crisi profonda che stiamo attraversando come categoria, ma non da soli; non possono essere sottaciute le responsabilità, preminenti,  di chi, negli anni scorsi ha occupato le istituzioni e l’organismo politico dell’avvocatura: poco importa il motivo per cui non sono riusciti ad arginare il degrado che ha devastato la nostra professione: disinteresse  o perfino semplice incapacità, ciò non cambia il risultato finale che è sotto gli occhi di noi tutti e che ha responsabili con nomi e cognomi.

Non basta decantare lo spirito di servizio per far del bene all’avvocatura, alla cosa comune. Ci vuole pure competenza e capacità. La semplice buona volontà, ammesso che ci sia stata, come abbiamo visto non basta e talvolta è un pietoso alibi per autosostentarsi, soprattutto laddove lo spirito di servizio viene anche retribuito.

Ed allora bisogna appassionarsi alle vicende che ci riguardano e vigilare ed essere pungolo nei confronti di chi ha promesso di tutelare i nostri diritti e le nostre ragioni.

Ma per indurre i Colleghi ad appassionarsi occorre crearne le condizioni, agevolarne l’accesso alle informazioni ed ai “lavori in corso”.

Per questo l’AFNI ha proposto a tutti i Consigli dell’Ordine degli Avvocati d’Italia di voler promuovere la partecipazione dei singoli alle scelte decisionali ed alla vita della categoria, con iniziative concrete tese a risvegliarne l’interesse e rendere effettivo e produttivo il loro singolo apporto coinvolgendoli nella vita delle istituzioni come è, peraltro, loro diritto.

Per questo abbiamo sollecitato, considerato anche il livello attuale della tecnologia che rende semplici e veloci le comunicazioni (per esempio con le mail) che ogni COA, oltre a rendere pubbliche le proprie deliberazioni, rendesse pubblico per tempo l’o.d.g della seduta del Consiglio  che si terrà o, meglio ancora, inviasse preventivamente, ad ogni iscritto di quell’Ordine, l’ordine del giorno della seduta del Consiglio che si terrà, in modo che il singolo possa anche interloquire, con consapevolezza, direttamente con i propri rappresentanti (eletti)  prima e chiederne conto e ragione dopo.   

Ma bisogna pure fare squadra quando è il momento di esserci. 

E’ una “chiamata alle armi “questa: è vero! Ma è alla nostra portata, è alla vostra portata! Basta semplicemente decidere di interessarsi, di informarsi: ma non di ciò che capita agli altri ma di ciò che ora sta capitando a noi, a ciascuno di noi. Bisogna partecipare come contributo di idee ma anche come numero per dare forza e voce ad una maggioranza che per pigrizia ed indolenza si fa governare supinamente da una minoranza che palesemente non ce la fa a dare risposte concrete ed efficaci e pensa solo alla propria sopravvivenza e perciò ad autoconservarsi.

Gli Avvocati non ci dobbiamo arrendere; non dobbiamo entrare nel numeroso stormo starnazzante perché ormai le cose van così; c’è una possibilità ed una via di riscatto, di risorgimento; per questo ci dobbiamo riappropriare non solo di quel sogno, motore e senso di vita, ma di una funzione che – insieme – sono stati il motivo della scelta di una vita e che giustifica i tanti sacrifici che quotidianamente e nella solitudine facciamo: sacrifici e tensioni non quantificabili economicamente,  ignoti ed incomprensibili ai non addetti ai lavori, ma ri-compensativi di una passione che scomparirà con l’ultimo Avvocato insieme alla Giustizia ed alla Libertà.

E’ quanto mai necessario oggi rivendicare il ruolo imprescindibile dell’Avvocatura nella società, nel Paese, nell’amministrazione della Giustizia e nel microcosmo costituito da ogni singolo distretto di Corte d’Appello e circoscrizione di Tribunale e uffici dei Giudici di Pace. Sono i presidi del diritto, gli ospedali dei diritti violati, dove occorre dare “pronto soccorso” al cittadino che lo invoca. Su quei tavoli non ci sono carte ma brandelli di vita e sofferenza che devono essere prontamente medicati.

Oggi siamo un’Avvocatura che non esaurisce i suoi compiti difendendo il cittadino nel processo, ma che è chiamata a valorizzare il suo ruolo anche fuori dal processo che, non possiamo nascondercelo, appare quasi come fuga da un processo malato, che si dibatte tra ritardi e difficoltà operative, ove la funzione dell’Avvocato viene ancora di più ad essere un cardine nella gestione delle controversie civili, quale professionista in grado di orientare e accompagnare l’Assistito verso la migliore soluzione della lite che lo coinvolge mediante “la soluzione negoziale o giudiziale che risponde alla tutela dei suoi interessi, senza mai dover abdicare alla tutela dei suoi diritti quando ciò è necessario”. Chi si rivolge a noi Avvocati per chiedere assistenza nella previsione di avviare una vertenza giudiziaria, ci pone tre domande, sempre le stesse: “ho ragione o torto? “; “quanto tempo ci vorrà perché il giudice mi dica se ho ragione o torto ? “quanto mi costerà sapere se ho ragione o torto ? ”

Ebbene, un Avvocato che si rispetti, anche sotto il profilo della correttezza professionale e deontologica, oggi è costretto a rispondere con tre desolati, e desolanti, “non lo so”. Non possiamo rispondere se ha ragione o torto, perché nel nostro ordinamento sono vigenti centinaia di migliaia di leggi, spesso scritte male ed approvate peggio, e perché gli orientamenti giurisprudenziali, anche di legittimità, sono sovente ondivaghi e talvolta desolatamente singolari.

Non possiamo neanche prevedere quanto tempo ci vorrà per avere la decisione, perché la durata del processo non è affatto nella disponibilità degli avvocati ed è pesantemente condizionata da cause, quali le carenze di organici (tanto nei Magistrati quanto nelle Cancellerie), sui quali l’Avvocatura non ha alcuna responsabilità.

Né il rimedio di tenere sotto pressione i magistrati con paventate azioni disciplinari in caso di ritardo nel deposito del provvedimento oltre una certa soglia statisticamente predeterminata ci soddisfa ma anzi merita di essere stigmatizzata al pari della purtroppo frequente frettolosità con cui talvolta i singoli magistrati operano trascurando di attenzionare i singoli atti processuali pur di rispettare la tempistica imposta.

Sotto questo profilo forse sarebbe opportuno che ciascun COA, oltre all’opera già affidata a singoli consiglieri, si dotasse di una Commissione a cui i singoli Avvocati possano segnalare e far pervenire le sentenze che ritengano aberranti nei contenuti o lesive della dignità dell’Avvocato con apprezzamenti circa l’attività difensiva del tutto inutili se non per colpire l’Avvocato. Fermi restando i rimedi processuali e l’intangibilità della sentenza da parte della Commissione, però ove la Commissione rilevasse la fondatezza dei rilievi potrebbe, tramite i propri delegati nel Consiglio Giudiziario, segnalare quel caso che magari indurrà il Giudice coinvolto ad avere maggiore attenzione in futuro e, nei casi più gravi ed eclatanti, consentirà al Consiglio Giudiziario di assumere le conseguenti determinazioni.

Credo sia evidente a tutti che noi avvocati non possiamo più accettare di rimanere passivamente coinvolti in un sistema che finisce per delegittimarci socialmente facendoci apparire inutili agli occhi delle persone e delle imprese che a noi si rivolgono, oltre che nella considerazione della società civile e dell’opinione pubblica.

Non dimentichiamo che il ricorso alla giustizia del singolo cittadino è sempre un successo dello Stato sulla nefasta autodifesa o il ricorso a peggiori parallele impervie vie che delegittimano lo Stato per primo.

Però è pur vero che non tutte le liti debbano necessariamente finire in tribunale. Pensare ad istituti veloci, ma parimenti efficaci, che possano risolvere le questioni fra i cittadini è un’ambizione alla portata dell’avvocatura e connaturale al ruolo dell’avvocato quale primo risolutore, insieme al Collega avversario, dei conflitti. Però la pretesa di creare una “Giustizia senza processo” comporta la responsabilità di prospettare un sistema che, consentendo altre sedi e forme di soluzione dei conflitti, sia capace allo stesso tempo di riassegnare alla Giurisdizione il ruolo centrale che le è assegnato dalla Costituzione.

In questa prospettiva, più di una sono le linee direttrici sulle quali indirizzare le riforme: la realizzazione di un ampio sistema di formazione stragiudiziale di titoli esecutivi con efficaci e tempestivi rimedi oppositivi in caso di abusi o illegittimità; l’ampliamento di forme di istruzione preventiva sia per informazioni testimoniali che per accertamenti tecnici sull’an e sul quantum; la valorizzazione della regola della non contestazione delle domande e/o dei fatti da parte del convenuto, invertendosi l’onere dell’attivazione del giudizio di merito; la ridefinizione di regole processuali (per tutti i gradi del giudizio) che siano coerenti con l’innovazione tecnologica introdotta dal processo telematico, ma che non incidano sull’effettivo esercizio del diritto di difesa, né sotto il profilo patrimoniale, creando una barriera all’accesso e rendendo il processo fruibile solo per i ricchi, né sotto il profilo tecnico, spingendo verso la sommarizzazione del processo, invece che verso l ’unificazione dei riti civili.

Nel settore penale, oggi più che mai è necessario separare le carriere dei magistrati giudicanti da quelli inquirenti: una specializzazione stringente dell’accusa, insieme alla reale terzietà (anche culturale) del Giudice, consentirebbe anche di evitare tutti quegli errori giudiziari di cui è costellato il nostro sistema. In termini generali, e nell’attuale clima politico, si ha la sensazione che la giustizia sia destinata a smascherare, più che a giudicare, se si pensa alla impressionante e ripetuta offesa alla res publica che le cronache quotidiane ci propongono, nelle iniziative assunte dall’accusa, ma nell’attesa delle decisioni giudiziarie che interverranno. È qui la contraddizione tra la giustizia invocata subito e la giurisprudenza che verrà, ed è qui la necessità di richiamare ancora una volta non soltanto alla sollecita pronuncia delle decisioni degli organi giudiziari, ma anche alla capacità di distinguere i fatti e le ipotesi di reato dai pregiudizi, per restituire dignità a chi sia stato ingiustamente e preventivamente giudicato dall’opinione pubblica e dai mezzi di informazione.

Faccio mie alcune dichiarazioni rese qualche tempo fa dall’allora Ministro Orlando “E’ necessario collaborare tutti per difendere l’impianto costituzionale del nostro ordinamento giuridico, quale strumento e presidio di tutela dei diritti fondamentali contro le pericolose derive populiste che insidiano i livelli di civiltà giuridica toccati dal nostro Paese. E’ necessario comprendere che “fare giustizia non può mai significare ricercare consenso”, criticando “la costante dilatazione del numero dei reati previsti dalla legge, spesso conseguenza di un utilizzo puramente propagandistico e simbolico dell’azione legislativa, secondo un’equazione, rivelatasi nel tempo totalmente infondata, per cui a più reati equivarrebbe più sicurezza” quando invece “in realtà, l’incertezza del quadro degli illeciti e la conseguente irrazionalità del sistema hanno indebolito la capacità repressiva ed aumentato il numero dei procedimenti ”.

Oggi assistiamo alla recrudescenza della spinta forcaiola e populista che si riafferma, in maniera particolarmente odiosa, nell’abrogazione della prescrizione o nell’inutile aggravamento di pene senza tener conto della reale efficacia deterrente o sanzionatoria della pena stessa che ormai neanche il carcere pare avere.

Le riforme processuali sull’appello, civile e penale, e sul giudizio di Cassazione, i cui esiti sull’ammissibilità sono spesso rimessi alla discrezionalità del Giudice, le norme ed i protocolli che piuttosto che agevolare l’opera dell’ Avvocato lo costringono in pastoie sempre più opprimenti ed insopportabili, ai limiti della violazione del diritto di espressione ed esposizione della difesa, ci spingono a sottolineare come non basti scrivere nuove regole processuali, se non si interviene sull’offerta di giustizia, sul rafforzamento organizzativo, sulle carenze di personale e di magistrati, sull’innalzamento delle infrastrutture tecnologiche e sull’alfabetizzazione tecnologica degli Avvocati.

La recente attenzione alla copertura delle piante organiche, ci spinge a chiedere con urgenza che nei settori in cui sarebbe necessaria una giustizia ad horas, si intervenga in maniera più cospicua: vi sono gravissime situazioni che stanno mettendo a rischio l’esercizio della giurisdizione laddove sono in discussione diritti fondamentali, i procedimenti in materia di famiglia e le migliaia di impugnazioni dei migranti richiedenti asilo avverso i provvedimenti di diniego della competente commissione prefettizia; o nelle sezioni di riesame delle misure cautelari, o nelle esecuzioni civili e penali, solo per fare alcuni esempi in cui beni della vita, essenziali, sono compromessi dalle carenze di organico e da un patrocinio a spese dello Stato che, presidio e tutela del diritto alla difesa, diviene insopportabile oltraggio, per quantificazione e tempi di liquidazione, per gli Avvocati che adempiono al loro dovere di difendere tutti e soprattutto i più deboli.

E’ inutile giraci intorno: è impensabile una seria riforma della Giustizia senza un serio e congruo impegno di risorse umane e finanziarie. E’ miopia politica non comprendere che la Giustizia è il collo dell’imbuto dove finisce la patologia del vivere civile che deve essere ripristinato pena la fine dello Stato di diritto: è un settore così nevralgico la cui centralità, comprimaria insieme alla sanità ed alla scuola, è innegabile.

Non esiste, non è possibile ed è pura demagogia pensare ad una riforma della Giustizia a costo zero: e questo gli Avvocati, i Magistrati ed i Cancellieri lo sappiamo bene. C’è bisogno di investire risorse e prima lo si fa e meglio è, e saranno risorse ben spese se riprenderà a funzionare la Giustizia in Italia, anzichè cercare di sfuggire con pannicelli caldi e dispendio di risorse.

Consapevole di questo la nostra Associazione si è trovata, pressocchè quotidianamente, ad intervenire nel panorama politico istituzionale sollecitando l’impiego di congrue risorse, rivendicando il rispetto della legalità, innanzi tutto e per primi fra gli Avvocati, ed a rivendicare autonomia e competenza nei confronti di una politica scellerata ed incompetente, che ci fa interrogare anche sulle reali competenze degli uffici che coadiuvano il ministro.

Eppure oggi, sorprendentemente, ci troviamo, contemporaneamente, contrapposti alla politica ma anche con il CNF; ci troviamo in disaccordo con Cassa Forense (ne parleremo il prossimo 2 dicembre con il CNAF), e rileviamo l’insoddisfacente azione dell’OCF. E’ quindi  giusto interrogarsi sul perché ed analizzare la storia recente degli asset dell’Avvocatura per darsi una risposta.  Cosa abbiamo ottenuto?

Se guardate bene i risultati sono sotto i vostri occhi ed oggi non è più come ieri. Si è avviata una svolta la cui conclusione è a venire ed è irreversibile; lo stesso fatto che oggi siamo qui a discuterne, con elementi di novità di non poco rilievo (e penso all’attuale COA figlio delle sentenze delle SS.UU. e della Corte Costituzionale oggi in esame), ad una partecipazione del Foro così imponente nonostante la specificità degli argomenti, ci rende orgogliosi delle nostre battaglie.  Battaglie che, in ogni caso, meritavano e meritano di essere combattute.

Per tutto questo abbiamo il diritto ed, avendo indossato la Toga, il dovere di essere protagonisti del nostro futuro professionale che, badate bene, riguarda il futuro stesso del Paese e delle istituzioni democratiche.

E’ evidente, e la storia ce lo conferma, che non vi sarà mai una democrazia compiuta o una Giustizia compiuta senza un Avvocato autorevole; né esiste una società libera e democratica se non c’è un Avvocato; né vi sarà mai un Giudice accorto che possa pensare di prescindere dall’aiuto che l’Avvocato apporta alla conclusione di una decisione ponderata e quanto più corretta umanamente sia possibile e che, in definitiva, ne allevi la responsabilità nella solitudine del giudicare.

C’è in atto un movimento che vuole indurre gli Avvocati a ritenersi obsoleti, dei bacchettoni nostalgici e che invece dovrebbero ripensare al proprio ruolo come venditori di servizi e mercanzie intellettuali; perfino inventandosi un fratricida scontro generazionale che non ha motivo alcuno di esistere e privo di fondamento: resistiamo a tale scempio e ripensiamo a  Piero Calamandrei o Francesco Carnelutti o Ettore Randazzo o Fulvio Croce o Serafino Famà: non dei, non eroi ma solo e semplicemente Avvocati come tutti noi, nostri Colleghi: non erano Loro ad essere eccellenti siamo noi ad essere insufficienti ed inadeguati per nostra deliberata indolenza e scarsa autostima.

Vorrei ricordare a costoro che una certa Signora, Lidia Poët, certamente non scelse e lottò per essere un Avvocato perché doveva sbarcare il lunario, ma probabilmente perché, come molti di noi, aveva innata una naturale propensione a combattere i soprusi, le ingiustizie, a prendere le parti dei più deboli però aborrendo il ricorso alla violenza.  Alla fine, proprio la perseveranza che l’aveva spinta a combattere per rimanere iscritta all´albo forense (da cui fu cancellata nel 1883), anche a costo di dare scandalo nel suo stesso foro, ottenne ragione giuridica.

Nel luglio 1919, infatti, il Parlamento approvò la legge Sacchi, che autorizzava ufficialmente le donne ad entrare nei pubblici uffici, ad esclusione della magistratura, della politica e dei ruoli militari.

Così, nel 1920, Lidia Poët poté finalmente ripresentare – con immediato accoglimento – la richiesta di iscrizione all´Ordine degli Avvocati.

All´età di 65 anni tornò ad indossare la toga che le era stata tolta e ad utilizzare il titolo di Avvocato.

Ad una battaglia vinta ne seguì subito un´altra: due anni dopo divenne presidente del Comitato italiano pro voto delle donne. Anche quella per la conquista del voto femminile fu una battaglia ultra decennale, ma Lidia Poët pervicacemente riuscì a vedere il frutto anche di questi suoi sforzi: ecco cos’è un Avvocato.

Stiamo inseguendo un sogno che ha disegnato la nostra vita e che si è incarnato nella nostra Toga; insieme è possibile proteggerlo, insieme è possibile tentare di arginare il degrado e risorgere, riappropriarci della figura che ci compete non solo all’interno dei palazzi di Giustizia ma all’interno della Società civile,  sol che abbiamo la capacità di pensare e, perchè no, anche  in grande e non farci abbattere dalla stanchezza o perché isolati ci sentiamo impotenti; la soluzione è alla nostra portata, insieme possiamo farlo e possiamo farcela…e comunque, per ciascuno,  ne sarà valsa la pena!

Avv. Enrico Calabrese- Presidente Nazionale AFNI

 

CONCLUSIONI

Come dicevo all’apertura dei lavori di questo Convegno oggi ci siamo trovati, paradossalmente, contrapposti non solo alla politica ma anche ai nostri organi istituzionali nazionali.

Come avete sentito nel corso dei lavori, tutto nasce dalla legge 247/2012 ed in particolare dalla norma che pone il divieto del terzo mandato consecutivo.

Non posso, non possiamo, oggi spogliarci dei panni dell’Avvocato per rivendicare una libertà di pensiero o d’azione che la nostra competenza tecnica non ci consente. Il rischio è, per l’appunto, quello di essere pessimi esempi di etica ma, soprattutto, apparire arroganti difensori di posizioni elitarie ed autoconservatrici abusando proprio di quella competenza. Il tutto aggravato dall’inverosimile proclamazione di opporsi in ossequio allo spirito di servizio in favore della classe forense.

Allora per onestà intellettuale abbiamo il dovere di dire che la legge era chiara e netta: se si doveva insorgere si doveva insorgere per tempo, e non sospettosamente quando venivano pregiudicate posizioni personali, 6 anni dopo e dopo 6 anni di assoluto silenzio.

E’ irrispettoso lagnarsi se ci fanno un verbale sulla tangenziale di Catania per eccesso di velocità perché due anni prima vi hanno apposto il limite di 50 km/h: bisognava protestare ed intervenire prima che venisse violata la norma ancorchè ritenuta ingiusta e l’Avvocatura aveva Istituzioni ed organismo politico per poterlo fare e non lo ha COLPEVOLMENTE fatto, con l’aggravante che neanche  la legge 113/2017 ha subito contestazioini.

L’Avvocatura, o meglio le istituzioni, hanno dato un pessimo segnale ai cittadini italiani ed alla politica.

Il CNF vede oggi un Ufficio di Presidenza delegittimato, ampiamente composto da persone ineleggibili che quindi in aperta violazione di legge, abusando dei tempi della giustizia continuano a permanere in quel ruolo che non gli compete, ove continuano a percepire uno stipendio (autoliquidatosi) ed impegnare cospicue risorse (circa 10 milioni di euro l’anno per sè e per le fondazioni dallo stesso governate e per il giornale “Il Dubbio”).

Ma contrariamente a quanto si possa ritenere i nove soggetti ineleggibili non sono i soli responsabili di questo scellerato e censurabile comportamento ma sono parimenti responsabili gli altri membri del CNF che anziché tutelare l’Ente stanno silentemente e corresponsabilmente subendo tale condizione di illegittimità.

Ma come ricorderete nel mio saluto evidenziavo la stranezza di trovarci, come Associazione Forense, contemporaneamente contro la politica e contro chi dalla politica ci dovrebbe difendere, o quantomeno pretendere interventi realmente seri ed efficaci per l’Avvocatura e per la Giustizia.

Forse la risposta sta nell’evidenza dei fatti e nei comportamenti delle persone.

Un CNF complessivamente illegittimo, non solo per i nove componenti illegittimi dal momento della loro candidatura, ma anche per gli altri, successivamente, per essersi resi conniventi e corresponsabili del mantenimento di questa condizione di illegittimità, tratta con la politica in nome e per conto dell’Avvocatura però non ottiene nulla. Si butta molto, ma molto, fumo sugli Avvocati parlando un giorno sì e l’altro pure di equo compenso, si parla di diritto dell’acqua a Dubai, si straparla dell’Avvocato in costituzione (sul punto poi ci sarebbe da discutere sulla reale finalità del testo che si vorrebbe adottare), come se questi fossero i punti focali della crisi della giustizia e dell’avvocatura. Il ministro della giustizia che plaude al CNF ed il CNF che plaude al ministro. Ecco il teatrino surreale che si è creato. Ma molti, che pure hanno criticato il CNF e ne hanno chiesto il Commissariamento, non si sono avveduti che la partita si era spostata nell’altra metà campo: quella del ministro. Infatti seppur nell’apparente legittimità dell’attesa dell’esaurimento di tutti i rimedi giurisdizionali che i componenti illegittimi del CNF possono espletare (visto che la loro etica e coscienza glielo consente), il ministro ben dovrebbe esercitare il suo potere di vigilanza su questa istituzione ed intervenire per evitare l’implosione dell’Avvocatura e la delegittimazione dell’Avvocatura stessa e prima che, ancora una volta, cali la mannaia della magistratura. Peraltro è lo stesso ministro che, discutibilmente, ha utilizzato la forma del decreto legge per fornire un’interpretazione autentica della legge per sancire la legittimità della norma che vietava il terzo mandato consecutivo…comportamento strano che a fronte di un’attenzione meritoria, iniziale, poi decanta… strano…  E’ chiara a tutti la differenza che corre fra l’intervento giurisdizionale della magistratura e l’intervento d’imperio del ministro, in attuazione del potere di vigilanza che ovviamente ha presupposti meno cogenti della pronuncia giudiziaria; e però il ministro, nonostante la sentenza delle SS.UU., della Corte Costituzionale, l’ordinanza del Tribunale di Roma, le pec che chiedono il commissariamento del CNF (ne sarebbe bastata una), l’indignazione pubblica che pervade l’Avvocatura, non interviene, anzi, consente il perpetuarsi di tale condizione di illegittimità del CNF pur essendone a conoscenza. Omesso intervento che avrebbe dovuto tenere anche conto della compartecipazione dei membri legittimamente eletti che ancora oggi non intervengono per ripristinare la legalità all’interno del massimo organo istituzionale dell’Avvocatura italiana nonché per evitare i danni economici conseguenti anche in occasione di illegittimi impegni di spesa adottati.

Peraltro non sfugge la stranezza del comportamento del CNF che si costituisce nel giudizio promosso da un Avvocato (Avv. Altieri) contro l’elezione, illegittima, di un altro Avvocato la cui elezione nel CNF si contesta (Avv. Baffa) e perfino i ministero si costituisce nel giudizio a supporto della difesa dell’Avv. Baffa: cui prodest?  Perché? L’uno o l’altro per entrambi gli enti dovevano essere indifferenti.

E’ giusto lottare contro le norme ritenute ingiuste. Ma qui bisogna ricordare che si tratta di enti pubblici. Enti pubblici che per definizione non possono non rispettare una sentenza delle SS.UU. e una norma vigente. L’occupazione abusiva della gestione crea danni all’ente ed alla comunità. Non è e non può essere un fatto personale. Ma anche sul piano personale, soprattutto se realmente disinteressati, c’è un momento in cui bisogna cedere e lasciare il passo. In questa questione quel tempo è già passato e da un pezzo. Non è leale né autorevole speculare sui tempi della Giustizia, usando, male, le nostre conoscenze tecniche, per galleggiare fino a quando sarà possibile. E’ un comportamento che sta delegittimando tutta l’avvocatura e non solo quei personaggi che la stanno facendo inabissare pur di trovare una scialuppa di salvataggio per loro.

Sarebbe veramente il momento di mettere la parola fine a questo scempio. Rimettiamo la parola ai COA perché si proceda all’elezione di un nuovo CNF: credibile, imparziale, ed autorevole come è doveroso e giusto che sia. Ridiamo all’Avvocatura l’organo apicale che possa, con autorevolezza, interloquire con le altre istituzioni da pari a pari, degnamente rappresentativo e al di sopra di ogni sospetto e di ogni ombra. L’OCF, le Associazioni, i COA, le Unioni Regionali dell’Avvocatura, i singoli Avvocati, insieme sottoscrivano un invito al CNF ed ai suoi attuali componenti affinchè, con un gesto doveroso, consentano all’Avvocatura italiana di ritrovarsi intorno al proprio massimo organo istituzionale uniti per affrontare le battaglie che proprio in questi giorni stanno attingendo l’Avvocatura e la Giustizia e, perché no, per riformare una legge professionale insoddisfacente e di cui parleremo qui a Catania il prossimo 2 dicembre con l’On. Bossio e tutti di Presidenti del COA del Distretto: ma su iniziativa del Coordinamento Nazionale (CNAF), quindi delle Associazioni Forensi, non dell’OCF o del CNF che pure ne contestano la correttezza e il CNF perfino in sede giudiziaria!

 Gli interventi che la politica sta avviando nel mondo della giustizia e del processo in particolare, sono eventi che vanno governati e controbilanciati dall’Avvocatura e dalle competenze che la stessa può offrire e mettere in campo. Ma deve essere un’Avvocatura autorevole e scevra da interessi personali.

Anche per questo, per riappropriarci di un pezzo della nostra casa, che al momento ci è stata proditoriamente sottratta, oggi siamo qui per levare la voce dell’Avvocatura libera e indipendente che ha bisogno e diritto ad avere una rappresentanza istituzionale politica forte e credibile, la cui latitanza oggi sta danneggiando Avvocati e cittadini.

L’Avvocatura oggi ha il dovere di affermare forte e chiaro che “Le regole vanno rispettate da tutti e primi fra tutti da Avvocati e Magistrati, anche quando non ci fanno comodo”, perché diversamente ci saremo delegittimati proprio con i nostri comportamenti. Gli Avvocati sono prima persone perbene poi Avvocati, ricordiamolo.

Non mi affascina, per il vero non mi ha da subito affascinato, la querelle sulla norma che pone il divieto del terzo mandato consecutivo con la quale personalmente non mi trovo d’accordo: ma esiste come norma, la rispetto e la devo rispettare.

Trovo insopportabile ed inaccettabile che avvocati speculino sulla pelle dell’intera avvocatura per sottrarsi al ricambio voluto, a torto o a ragione, da una norma di legge, invocando ed esaltando lo spirito di servizio che li animerebbe per poi, nei fatti, violentarlo. Ecco il quid pluris che ha difettato: l’etica, la legalità e la trasparenza che oggi invochiamo e che invece avrebbe dovuto indurre a comportamenti coerenti coloro che si sono resi responsabili di questa devastazione. Tutto ciò legittima il sospetto che non si tratti di spirito di servizio ma di ben altro e su questo l’Avvocatura ha diritto che si faccia piena luce riguardando conti, incarichi, consulenze, personale e spese tanto al CNF con le sue fondazioni quanto in Cassa Forense in uno sforzo di doverosa trasparenza. Ma questo è un altro capitolo che speriamo aprirà il nuovo CNF che verrà. Ma soprattutto il nuovo CNF che verrà dovrà ripacificare l’avvocatura italiana, rimotivarla e supportarla nella quotidiana difesa dei diritti, creando condizioni di lavoro dignitose e rispettabili ed emarginando e perfino allontanando chi le arreca pregiudizio venendo meno al giuramento prestato, attenzionando le condizioni di svolgimento dell’attività difensiva dell’Avvocato ed il suo rapporto con la giurisdizione…magari a Dubai ci andranno un’altra volta e perché no con i soldi propri e non degli avvocati. Tutto questo è possibile e credo che sia irreversibilmente in corso e, ancora una volta, dipenderà da ciascuno di noi dalla sua capacità di interessarsi ed essere parte attiva e critica del proprio mondo. Ma bisognerà fare attenzione. Perché sarebbe un errore sostituire un potentato con un’altro che però sarebbe giusto solo perché ora ci sarei io.

Il consenso inseguito a tale fine, l’ansia di protagonismo e la necessità di primeggiare sono state le armi di distruzione della politica e della credibilità dei protagonisti.

Il livore è perdente ed irrazionale. Bisogna essere protagonisti positivi di una proposta a cui si crede senza l’ansia da consenso e senza cavalcare le negatività degli altri:…se no è altro. Ovvero è lo stesso…ma peggio di prima. Quando andremo a votare: pensiamoci!